Sengoku – Un uomo diviso fra due mondi

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Quando si parla di Marina Militare è possibile arrivare a pensare ai soggetti più disparati: gli ammiragli, Garp, personaggi del calibro di Smoker, Coby e tanti altri ma, in particolare durante la prima parte dell’opera, l’uomo cardine dell’istituzione militare è senza dubbio il Grand’Ammiraglio: Sengoku.
Già dal suo soprannome si può capire una parte della personalità del comandante, paragonabile a una divinità, e la grande forza di cui dispone. Ciò nonostante l’ho sempre visto, seppur sotto un gran numero di strati, come il membro più fragile e complessato del governo mondiale.
Ogni marine che abbiamo avuto modo di incrociare, nel corso dell’opera, segue un suo credo per il quale agisce, compiendo azioni più o meno crudeli; ciò nonostante tutto si può dividere in due ideologie ben scisse fra loro: giustizia morale e giustizia assoluta.
Da Akainu ad Aokiji, da Kizaru a Fujitora, perfino con lo stesso Coby abbiamo potuto ammirare il modo in cui vari esponenti delle forze militari affrontano, combattono e portano avanti il loro credo legato al giusto, ciò nonostante il loro leader (o almeno, colui che lo era prima del time skip di due anni) non ha mai espresso una vera e propria fazione risultando, il più delle volte, in bilico fra le due principali ideologie che ci sono state presentate:
– Nel flashback di Ohara non si è fatto scrupoli a ordinare un Buster Call finendo, anzi, per mal porsi nei confronti di Sauro, il quale si limitò a esprimere le sue perplessità per una decisione tanto drastica.
– Ha mostrato sfiducia verso i cinque astri di saggezza, a seguito della loro -immorale- decisione di insabbiare l’evasione in massa dei prigionieri di Impel Down.
– Non ha mostrato esitazione a condannare Ace a morte.
– Nonostante il punto detto sopra, quando si trovò davanti a Rufy e Galdino, credo fermamente che abbia sferrato un colpo enormemente al di sotto delle sue potenzialità, trattenendosi. Basta farsi una domanda: avrebbe mai potuto un Rufy, pre allenamento di due anni, pre Haki, sfiancato da una guerra e ancora inesperto riuscire, col solo supporto di un Candle Wall di Mr. 3, parare il colpo del Buddah in modalità ibrida senza ferirsi seriamente? Personalmente penso proprio di no.
– Quando Sengoku dovette fermare Garp mi sembrò, a tutti gli effetti, seccato dal gesto dell’Ammiraglio, e credo che avrebbe preferito lasciar agire l’Eroe se gli fosse stata data la possibilità.

E’ questa la figura dell’uomo diviso tra “due mondi”, il Grand’Ammiraglio che viene ridotto a un equilibrista in bilico fra due modi di fare: uno sentito nel profondo, morale, e uno imposto da qualcuno al di sopra di lui (i cinque astri di saggezza) che vede una giustizia assoluta.
A convincermi ulteriormente della cosa c’è un altro punto: quando fu il momento di scegliere il prossimo Grand’Ammiraglio, Sengoku patteggiò per Aokiji che, sulla carta, aveva collezionato più fallimenti (basti pensare alla fuga di Nico Robin o alla mancata cattura di Rufy e dell’Archeologa su Long Ring) del “cane rosso”, l’effettivo boia del figlio di Gol D. Roger. A parere mio Sengoku guardava a un uomo che potesse ereditare -e si sa, in One Piece il tema dell’eredità è quasi onnipresente- il suo concetto di giustizia e il suo modo di fare; aveva scelto un Ammiraglio mosso da una forte giustizia morale e che, come ben sappiamo, schifava il modo di fare di Akainu, il quale rasentava la follia.
Con Sengoku non vedo un comandante forte e indipendente, ma un uomo che, ben più sottomesso dei suoi stessi uomini, arranca in un deserto di imposizioni cercando, là dove possibile, un’oasi di indipendenza che gli permetta di seguire quel credo che, da giovane, lo spinse a entrare in Marina, un credo morale soffocato dai poteri di chi, per un proprio tornaconto, è disposto a giocare con le vite altrui.

[Rozen]

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