Temi storici e sociali in One Piece

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Le tracce e le suggestioni presenti nel manga sono numerosissime ma prima che verranno esaminate tutte, una per una (nei prossimi secoli, solo grazie ai futuri studiosi di Ohara) possiamo cominciare col chiederci come vengano sviluppate nel manga e soprattutto che funzione abbiano nell’insieme della trama: a mio avviso, partendo da questi punti si può considerare una prima distinzione generale, in verità non troppo profonda ma il cui margine può rivelarsi molto interessante e in più permetterci di apprezzare appieno alcuni passaggi della storia tra cui, in particolare, l’isola degli uomini pesce, una delle più caratterizzate da questo punto di vista e il cui tema sembrerebbe anche essere tornato “d’attualità” proprio su Zou.

Rivolgendo un primo sguardo generale al manga, pare che l’uso di riferimenti storici, politici e sociali, nella maggior parte dei casi abbia la funzione di formare il sostrato, il contesto delle vicende e che quindi serva ad attribuire un tratto di maggiore veridicità all’opera, tessendo un filo che mantiene un legame perfetto tra il mondo fantastico delle isole e dinamiche estremamente concrete.
In realtà, come si preannunciava, la funzione di questi riferimenti non può essere sempre in ciò solo circoscritta, poiché si potrebbe individuare anche una seconda tendenza in alcuni passaggi o saghe dove il tema sociopolitico è assolutamente centrale nel racconto e diventa, per Oda, la chiave per poter sviluppare questioni di estrema sensibilità. La saga che, forse, più di ogni altra esprime la centralità del tema sociale(e politico), si è detto essere quella “recente” dell’isola degli uomini pesce.
Volendo fare un esempio per evidenziare questa distinzione possiamo prendere a riferimento la saga di Alabasta in rappresentanza della prima tendenza, poiché anche in essa abbiamo un chiaro riferimento a questioni politiche del nord Africa (e non solo) in cui la detenzione del potere è legata al controllo delle risorse d’acqua. Nelle società delle oasi della Tunisia pre-coloniale non era la proprietà dei fondi, bensì quella dell’acqua a costituire la base del potere e del prestigio sociale. La distribuzione dell’acqua, l’amministrazione e la manutenzione dell’intricato sistema dei canali e delle dighe di drenaggio per l’irrigazione, richiedevano, infatti, un’organizzazione sociale ben disciplinata. La presa di potere sul controllo dell’amministrazione dell’acqua da parte del governo coloniale francese determinò il crollo del sistema sociale delle Oasi e così la fine dell’indipendenza della Tunisia. Esiste, perciò, un chiaro riferimento a vicende storiche e politiche del genere ma altrettanto chiaramente ci appare come non sia questo ciò che si voglia propriamente raccontare.

Le vicende si svolgono nel deserto e Oda, introducendo questi rimandi, intende unicamente ammantare la storia di una cornice estremamente fedele all’ambientazione. Non sono di certo questi i temi centrali della saga, piuttosto da essa potrebbe trarsi quello più generale e ricorrente della liberazione di un popolo oppresso da un oppressore che manipola gli eventi a proprio favore (Se si volesse forzare una visione ancora più ampia, anche questo come altri temi, potrebbe assumere un significato ulteriore se rapportato a Rufy e al concetto di Volontà, per me vero significato dell’ “opera”. Non temete perché mi spiegherò meglio in un prossimo intervento). L’inserimento di questo riferimento è sicuramente importante per il racconto della storia e per apprezzarlo basti pensare al suo corrispondente nel nuovo mondo e cioè la presa di potere di Doflamingo. Io, se può interessarvi, ho apprezzato molto di più le manipolazioni di Crocodile, poiché, sempre contestualizzandole all’universo di One Piece, potevano fondarsi su un riferimento politico concreto che ha reso il tutto molto più “credibile” e affascinante, senza che venisse perso nulla delle suggestioni dell’immaginario fantastico di Oda. Negli eventi di Dressrosa e in particolare re Riku mosso dai fili, senza che i cittadini si facessero troppe domande mi è sembrato tutto un po’ troppo ingenuo o comunque meno avvincente degli eventi di Alabasta. In questo parallelismo si comprende quanto siano utili al racconto, arricchendolo di fascino, tutti gli sconfinati riferimenti disseminati nel manga ma ciò non vuol certo dire che Oda, in Alabasta, abbia voluto raccontare principalmente della lotta per l’accaparramento del potere attraverso le risorse d’acqua.

Ecco dunque che può cogliersi la specialità dell’Isola degli Uomini Pesce. In essa il tema sociale è il punto centrale del racconto, permea l’intera saga, ne costituisce il senso, tra i più complessi e profondi dell’intero manga fin ora.
Parliamo del rapporto con il diverso e già la scelta narrativa con cui il tema ci viene introdotto, è assolutamente inaspettata. È incredibile, infatti, pensare come Oda abbia totalmente ribaltato le nostre credenze legate alla storia del villaggio di Nami e alla prima conoscenza dell’Arlong Park. Credo che la scelta si debba intendere come assolutamente non casuale, Oda avrebbe potuto continuare a ricalcare l’immagine già data degli uomini pesce, per lui sarebbe stato di certo anche più semplice ma decidendo di ribaltare tutto, crea uno sconvolgimento nella nostra percezione che finisce per dimostrarci quanto relativo e condizionato possa essere il nostro punto di vista, quanto la realtà delle cose possa essere difficilmente afferrabile: la scelta narrativa è assolutamente funzionale al messaggio finale!*

In questa saga i combattimenti passano, forse come non mai, in secondo piano, Oda ne è quasi disinteressato e non si hanno mai dubbi sull’esito degli scontri. La perla della saga si nasconde tutta nel racconto della foresta marina.

Si è parlato molto dei riferimenti alle rivendicazioni razziali della popolazione nera d’america e di certo le due grandi personalità di spicco dell’isola degli uomini pesce sembrano ricalcare Martin Luther King per quanto riguarda Otohime e le pantere nere, invece, per gli abitanti del distretto degli uomini pesce. Ancora, volendo astrarre per un attimo i rimandi della saga dalla questione razziale dei neri d’america, si è pure paragonata la stessa Otohime a Madre Teresa di Calcutta e altre grandi personalità femminili.

  

Nessuno di questi riferimenti è errato, mi piace pensare che tutti facciano parte del background di Oda, finiti come tanti ingredienti nel manga dando vita ad un risultato di ancora maggiore respiro, tanto da non poter essere limitato a nessuna specifica questione razziale o etnica: le contiene tutte.

Il messaggio che emerge è quello di apertura ma soprattutto comprensione del diverso generalmente inteso, rivolto alla percezione RELATIVA di ognuno. Sarebbe un errore sottovalutare il tema, bollandolo sommariamente come buonista e qualunquista poiché viene affrontato attraverso considerazioni tutt’altro che banali, passando fino in fondo attraverso tutto ciò che sembrerebbe negare il messaggio stesso, passa attraverso quelle cose con cui l’idea stessa di apertura deve fare i conti. Già la scelta narrativa è sorprendente poiché l’apertura all’altro, con una profondità quasi inedita per uno shonen (rivolto a milioni di lettori) avviene per iniziativa della parte oppressa e non classicamente (e banalmente) dalla misericordia degli oppressori che tutt’a un tratto si risveglia. Questa scelta alla prima lettura mi pareva fosse quasi una nota stonata o un accanimento su una popolazione che dopo anni di soprusi dovesse farsi persino carico di essere perdonata. Ma la verità è che la scelta di interrompere l’odio viene fatta passare attraverso il percorso più difficile e deve servire agli abitanti dell’isola degli uomini pesce ad elevarsi rispetto alle più che comprensibili passioni che attraversano i loro cuori dopo secoli di soprusi e discriminazioni. Se il perdono e la comprensione vengono dalla parte oppressa, allora si accede al senso più intimo della non violenza, tuttavia nella saga, così come spesso avvenuto anche in episodi della storia reale, non può non passare attraverso il martirio, il sacrificio, assumendo perciò una valenza generazionale. I due personaggi, emissari di questo messaggio di grande umanità e sviluppo della coscienza, di una visione più ampia, non è quindi un caso che siano i due martiri della storia: Otohime e Fisher Tiger.

  

Non è detto che la loro sia la scelta migliore e che verrà compresa agli occhi di tutti, va contro la logica e gli interessi immediati, non si tratta del bene che prevale sul male in modo frivolo, entrambi sposano la propria scelta sacrificandosi e nella piena consapevolezza del loro martirio. La scelta di Fischer Tiger di non accettare la trasfusione è il momento più alto e di maggiore intensità della saga, rappresenta completamente il segno dell’odio, così profondo e radicato da non poter essere né ignorato né tantomeno scacciato in nessun modo. Ma esiste una possibilità, può essere tramutato. Si può comprimerlo e dissolverlo nel sacrificio. Avviene tutto per un passaggio generazionale: Otohime e Fisher Tiger sono martiri per la speranza delle generazioni che gli succederanno.

Il Sacrificio, però, di per sé non vale a niente se non è connesso alla conoscenza e la comprensione del diverso, intimo tema sociale della saga, poiché non c’è delitto peggiore che quello di condannare anche un solo individuo innocente per generalizzazioni di razza o etnia. I temi del pregiudizio e del diverso sembrano essere ripresi anche a Zou in una battuta di Wanda

“…dal nostro punto di vista, la vostra specie non è composta da altro che da comuni visoni scimmia ma meno pelosi… per cui tecnicamente siamo simili e se non ci dovesse piacere la vostra specie, SAREBBE PER QUALCOSA CHE AVETE FATTO”

La popolazione dei visoni fin dalle prime battute appare incredibilmente matura e quindi connessa in una linea di continuità con i temi dell’isola degli uomini pesce. Attendiamo i prossimi capitoli per avere conferme e capirci di più.
Concludendo, se il rimando storico degli avvenimenti può essere senza dubbio individuato nelle questioni razziali della comunità africana in America, la portata del tema sociale finisce per avere un respiro ancora più ampio. Di recente, poco dopo gli attacchi dell’Isis a Parigi, tra articoli e servizi sugli eventi, mi è ritornata alla mente una delle vignette centrali della saga, quella in cui il principe Fukaboshi dichiara di aver finalmente scoperto la “vera identità di Hody Jones”. È una battuta fondamentale, conclusiva rispetto a tutto ciò che c’era stato raccontato da Jimbei e infine è un’ammissione di responsabilità della famiglia reale per aver emarginato l’odio, lasciando che si nutrisse di se stesso.

“È un mostro partorito da noi stessi (dal nostre ambiente); La nuova banda pirata degli uomini pesce è formata da mostri frutto dell’odio; temono che l’odio dei loro predecessori possa venir dimenticato; vivono nella disperazione… temono che un giorno la rabbia verso gli umani si spenga e pregano perché gli umani restino malvagi per poter giustificare la loro guerra santa…” 

Le parole sembravano perfettamente coincidenti con un articolo di un ex agente occidentale in Siria. Si parlava degli interessi degli occidentali in medio oriente e quindi delle nostre responsabilità nell’arresto dei processi di sviluppo democratico e culturali dei paesi arabi ricchi di petrolio o geograficamente strategici e si diceva di come i bombardamenti non riuscissero quasi mai a centrare gli obiettivi reali, i “nemici”, ma colpendo soprattutto civili finissero per compattare la società araba con buon gioco dell’Isis a demonizzare gli occidentali, “perché gli umani restino malvagi per giustificare la loro guerra santa”. Ma forse, anche loro, “sono(è) un mostro partorito da noi stessi” e per questo meritano di non essere confuse e d’essere ascoltate con grande considerazione, le altre voci musulmane che rifiutano e condannano come tragedia (dis)umana gli atti dei terroristi del “distretto”.

*Non possiamo trascurare come indizio, l’oramai celebre bagno di Oda e i giocattoli di squali e abitanti marini che popolano i suoi scaffali. Considerata la sua predilezione per il popolo sottomarino non è da sottovalutare l’idea di aver voluto riabilitare gli uomini pesce come vero e proprio capriccio 😀 Inoltre, così facendo, viene anche dato lustro alle origini di Jimbei, uno dei personaggi più rispettati da Oda stesso.

-Shackleton

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