MA (NON) SONO GIAPPONESE! Siamo davvero in grado di leggere ONE PIECE?

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Da anni, ormai, siamo vittime di uno smodato fascino per l’Oriente, e in particolare per il Giappone. Non che ci sia nulla di nuovo, in realtà; da sempre, le terre al di là del grande nulla tra Europa e Asia (le steppe russe da una parte, il deserto dall’altra) hanno suscitato in noi “Occidentali” una curiosità che spesso sfociava nel fantastico. La parola “mago”, per fare un esempio: i Magi (sì, senza acca, come quelli della Bibbia!) non erano altro che sacerdoti del Zoroastrismo, un’antichissima religione nata nell’odierno Iran; e già nell’Antica Grecia, per la loro fama di esperti in pratiche occulte, vennero attribuiti loro poteri paranormali – insomma, divennero agli occhi degli stranieri quelli che oggi chiamiamo “maghi”. Perché l’uomo, per sua natura, quando non è in grado di spiegare razionalmente qualcosa, ha la tendenza a tirare in ballo il sovrannaturale… Il “Dio”




Ener vi dice qualcosa? Come poteva essere lui Dio, quando anche i bambini sanno che l’unico e solo a cui si addice questo titolo è Usopp…

E questo fascino è reciproco: provate a chiedere a un qualunque giovane Giapponese quale città vorrebbe più vedere al mondo! La maggior parte vi risponderà Parigi o New York, che sono, senza nulla togliere ad altre città (anche più belle), tra i simboli più di spicco della cultura occidentale, da una parte quella storica e artistica, dall’altra quella moderna.




In Australia, giusto un paio di mesi fa, mi è capitato di incontrare dei miei coetanei cinesi e giapponesi per i quali io, pensate, ero il primo ragazzo europeo con cui parlavano nella loro vita! E ogni volta che mi chiedevano di raccontare loro qualcosa del nostro Paese, loro sgranavano gli occhi a sentir nominare Roma, Firenze, Milano, Venezia, Napoli, la Sicilia, e chi più ne ha più ne metta… Perché per molti di noi, l’Italia è la peggior nazione del mondo, piena di corruzione, mafia, furfanti, ma agli occhi di tantissimi stranieri, in particolare quelli provenienti dai posti più lontani, questo è il Paese dei Balocchi. E sia noi che loro abbiamo ragione e torto; la verità, banalissimo ma vero, sta nel mezzo…

È forse anche per via di tutte queste contraddizioni che molti Italiani sono affascinati dal Giappone, e viceversa. Abbiamo due delle culture più antiche e ricche del mondo, minate all’interno da problemi sociali profondi, legati principalmente alla convivenza tra una tradizione radicatissima e la necessità di rimodernarsi. E se il Giappone, per esempio, ha un tasso di longevità tra i più alti, lo ha anche per i suicidi.

Ma come si pone ONE PIECE in tutto ciò? Beh, l’opera dell’Eiichiro Sensei è una delle più grandi espressioni della cultura giapponese contemporanea. Cultura, sì, uso questo termine di proposito, perché non solo i libri e il teatro sono cultura, ma anche mezzi artistici meno convenzionali; il nostro Dario Fo ci ha insegnato, tra le mille altre cose, che si può far Cultura – con la C maiuscola – addirittura pronunciando versi senza senso. Non è assolutamente mia intenzione paragonare Fo a Oda – sarebbe come mettere a confronto un calciatore e un tennista – ma è innegabile che si tratti di fuoriclasse del loro settore, che hanno esercitato un’influenza enorme sia nel loro Paese di origine che in tutto il mondo.




E come persino gli Italiani stessi, spesso, faticavano e faticano a comprendere anche solo il linguaggio espressivo di Dario Fo, ricco di incidenze locali e riferimenti a una tradizione quasi perduta, similmente, anche se in modo e misura molto diversi, tantissime citazioni e sfumature dell’opera di Oda possono essere colte nella loro totalità solo ed esclusivamente da un pubblico madrelingua.

Dunque, che fare? Sto forse dicendo che bisogna leggere, ascoltare, guardare solo opere provenienti dal proprio paese?

La maggior parte di voi, spero, riconosce la bellezza del flashback dedicato al giovane Barbabianca, poco prima che spiri a Marineford. Un ancora biondo Edward siede vicino al bordo della nave, con il suo spropositato mentone appoggiato sull’altrettanto enorme mano, lo sguardo fisso all’orizzonte e un sorriso lieve sul viso. “I tesori non mi interessano”, sussurra. “E cosa ti interessa allora, Edward, sentiamo?” gli domandano sghignazzando i pirati… “Kazoku”, risponde Newgate. “Una famiglia”. A lui non interessa davvero essere un pirata; lo diventa solo perché esserlo significa poter scegliere liberamente la propria vita.




E sapete, invece, come si dice “pirata” in Giapponese? “Kaizoku”. Quella “i” mancante segna la differenza e al tempo stesso il legame inscindibile tra due desideri e modi di vivere lontanissimi, ma al tempo stesso vicinissimi.

In Italiano, Inglese, Babilonese, non è possibile cogliere questo gioco di parole certamente voluto da Oda, che accresce ancor di più la grandiosità della scena. Ma ciononostante, siamo in grado di percepirne la bellezza. Perché la potenza di un’opera, il suo valore artistico profondo, trascende la lingua; la lingua dell’Arte è una sola, e tutti possiamo comprenderla.




ARTICOLO DE "IL TRUCCATORE"

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