One Piece ovvero l’importanza di allungare il brodo

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ONE PIECE OVVERO L’IMPORTANZA DI ALLUNGARE IL BRODO

“Wano è una noia mortale”, “Che ci importa di O-Tama e dei lottatori di sumo, vogliamo Kaido e Orochi”, “Di questo passo One Piece finirà il secolo prossimo”…

Non passa saga senza che si diffondano, nella community, commenti di questo tenore.

E non passa saga senza che qualcuno difenda One Piece e critichi i lettori troppo frettolosi, situazione, questa, che tende ad alimentare la percezione di una divisione dualistica tra i lettori: da una parte quelli che difendono One Piece capitolo per capitolo, dall’altra quelli che lo criticano a pie’ pari.

Come tra il nero e il bianco ci sono una miriade di colori, così vale per le persone, ed in questo caso per i lettori di One Piece. Al di là dei meme e degli sfottò internettiani, dobbiamo sforzarci di capire le ragioni e le argomentazioni dell’una e dell’altra parte.

Tutto questo preambolo serve per dire ciò: è vero che in questo articolo difenderò la saga di Wano, ma ciò non vuol dire che Oda per me sia una divinità infallibile e, sopratutto, che Wano sia appassionante. Perché no, Wano non è appassionante.

Anzi, questi primi capitoli sono stati noiosi e scialbi.

Probabilmente questa mia sensazione è dovuta al fatto che Wano, negli ultimi capitoli, ha avuto come protagonista la coppia fatta da un personaggio che certo non brilla per acume (Rufy) ed uno estremamente lineare nel pensiero e nel modo d’agire (Zoro). Con questi due non è possibile mettere su situazione molto ingarbugliate, ed il ritmo ne ha risentito.

Sono convinto che la situazione migliorerà strada facendo, ma a questo punto una domanda è lecita: non conveniva lasciar perdere tutta la questione di O-Tama, O-Kiku e compagnia bella, per andare dritti al punto della saga? Insomma, se il rischio di capitoli poco entusiasmanti è così alto, perché One Piece continua ad essere così prolisso?

In un’epoca in cui tutti ci ricordiamo del motto “less is more” ripetutoci da Steve Jobs, ha senso un’opera tanto lunga?

Il motivo più scontato è certo quello dei guadagni economici che ne conseguono, mentre cavando più a fondo possiamo trovare un’altra motivazione, legata al tipo di fruizione di One Piece da parte dei giapponesi: lì i manga sono una realtà quotidiana, e i numeri di Shonen sono diffusi come la Gazzetta o il Corriere dello Sport da noi. Ragazzi e adulti li leggono nei (pochi) ritagli di tempo della giornata tipica giapponese in maniera più rilassata e meno analitica rispetto a noi, un po’ come fossero le vecchie strisce dei quotidiani; di conseguenza i lettori sono più propensi ad apprezzare storie lunghe, e soprassiedono tranquillamente sui tempi morti.

Fin qui siamo nel mero ambito commerciale. Ma, se posso diventare un po’ più filosofico, credo che ci sia un altro motivo: se non si dilungasse One Piece non sarebbe la metafora del viaggio che oggi è.

Il viaggio è uno dei temi più forti e ricorrenti della letteratura a partire dall’Odissea, che prenderemo come esempio; vi immaginate come sarebbe quest’ultima se Odisseo, ripartito da Troia, anziché peregrinare per il Mediterraneo arrivasse direttamente ad Itaca a sterminare i Proci?

L’ossatura della trama rimarrebbe inalterata, ma l’opera risulterebbe decisamente meno ricca ed affascinante. Se l’Odissea è un capolavoro non lo è per l’intreccio, ma perché il viaggio di Odisseo (e dunque il viaggio come tema letterario) è un po’ una metafora della vita stessa dell’uomo. Anche noi, se ci pensate, viviamo in maniera “prolissa”: quelle che possono essere le tappe importanti della vita (andare a scuola, conseguire una laurea, il matrimonio, il primo mutuo) non sono in immediata successione l’una con l’altra, bensì intervallate da tutta una serie di esperienze che ci formano come persone.

Per questo l’Odissea ha avuto tanto successo: tutti noi, chi più chi meno, ci riconosciamo nel tema del viaggio. E per lo stesso motivo One Piece continua ad appassionarci; dall’estate del ‘97 ad oggi ne abbiamo viste di cotte e di crude, tra ristoranti galleggianti, regni tra le sabbie, isole nel cielo, prigioni subacquee, isole sul dorso di elefanti e via dicendo. Mettendo in scena un viaggio all’apparenza interminabile, One Piece è cresciuto insieme a noi; è come se avesse superato la quarta parete, ed il viaggio della Ciurma di Cappello di Paglia si fosse fuso con la nostra vita, il “nostro viaggio”.

Mi fermo qui perché m’accorgo che proseguendo diverrei eccessivamente melenso, cosa che non mi si addice. Però spero di essere riuscito a comunicare l’importante: è lecito analizzare ogni capitolo, criticarlo, ed è anche lecito ed umano annoiarsi, come sta avvenendo a me con gli ultimi capitoli. Ma da lettori di One Piece dobbiamo sempre tenere a mente che il protrarsi dell’opera non la sta rovinando, ma arricchendo.

In poche parola, a volte è importante allungare il brodo.

-Tom-

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